Dialoghetto tra Socrate e un “vigologo”

Il lettore mi concederà di immaginare un mondo che il nostro non è. Il riferirsi a cose o persone, pertanto, sarà un giochetto del caso, che a nessuno intende recare minima offesa.

Talora capita un “che” che la ragione fatichi a spiegarsi. Avvenne allora, un giorno, che Socrate si svegliò nell’anno 2020. Subito egli venne a sapere d’un saggio, di un “vigologo”. Questi dimorava su un’altissima torre, con suoi fedelissimi amici. Di tanto in tanto, a piacevolissimo turno con questi suoi prodi (prodissimi), s’affacciava sulla piazza a servire succulentissime verità. Si diceva che queste fossero delle più inviolabili; egli, allora, preso con sé il suo devoto discepolo, Sconcerto, si mise in durissimo cammino verso l’alta torre. Il nostro Socrate, una volta giuntovi, venne ricevuto da un imprecisabile numero di servi (ministri per l’appunto).

– Benvenuto, maestro.

-Grazie a voi dell’asilo che mi è dato. Chi siete?

-Noi siam ministri, maestro. Noi serviamo.

-E chi servite?

-Dipende. In un passato remotissimo (almeno così ci è narrato dai nostri avi) servivamo il popolo. Oggi serviamo la scienza.

-Che altissimo impegno, il vostro! E pregevole è il vostro larghissimo dare! Ditemi di più, vi prego. Quale sarebbe questa scienza che servite?

-Vede, maestro, oggi serviamo la “vigologia”. O, per meglio dire, serviamo i “vigologi”.

-Oh, benissimo! Non chiederò nulla dell’oggetto di tale scienza, poiché oscuri mi sarebbero i contenuti. Come voi sapete, pervengo da un lontanissimo passato; allora non v’era “vigologia” regnante, né incipiente.

-Non si affanni, maestro. Vede, la “vigologia” non si regge su contenuti.

-Come sarebbe a dire?

I ministri condussero Socrate in un ampissimo vano. Vi regnavano, a turno, il marasma e il tumulto. Decine di uomini urlavano e si urtavano con delle pertiche. Uno di loro portava sul petto una coccarda sbiadita. Si fece avanti.

-Maestro, lei è il benvenuto. Sono l’altissimo vigologo.

-Vi sono grato. Ditemi, allora. Ditemi del vostro far scienza.

– Vede, maestro. Osservi accuratamente (e con imperato scrupolo) il pregiatissimo tessuto della mia giacca. È blu.

Dal fondo della sala, si fiondò un vigologo con una pesante mazza in mano, saettandola contro l’altissimo.

-È rosso! Dannazione, è rosso! Come dovrò mai spiegartelo? Imbelle! Maestro, tralasci l’opinare dell’altissimo (ché tanto alto non è). È rosso!

Il poveraccio si levò da terra. Spolverò la giacca (rossa o blu, non ci è dato a sapere).

-Statemi a sentire. Ne discorriamo da giorni, senza venirne nemmanco succintamente a capo. Qualcosa, al popolo, dovremo pur dirla. Diremo “rosso”.  Non se ne parli più.

Socrate rabbrividì. Bramò, per un frangente, di tornare a bere ottime cicute.