Le letture recano con se stesse il senso della sorpresa. Per fortuna. Se non fosse che, talvolta, si preferirebbe non trovarle. Spacchettando buste d’insalata, è sempre possibile (e il lettore lo sa) trovarvi ospiti dal doppio paio d’ali; parimenti, l’occasione letteraria è sovente accompagnata da sorprese altamente pregnanti.
S’eluda l’odiosa prassi accademica della nota a piè di pagina, di cui me medesmo mi vergogno, per dirla petrarchescamente; i piedi, si sa, puzzano, fossero anche di carta. S’eluda anche lo spirito informativo proprio dell’opera didattico-manualistica, per le cui esultanze si è portati ad informare il lettore che la citazione X si trovi alla pagina Y del libro di A, edito dalla Mentula Edizioni, nell’anno 0.
Altra, però, è la prassi ad oggi diffusa. Alla citazione, per sua natura richiamantesi ad un altro, viene meno la propria àncora: l’altro, per l’appunto. Non è difficile, pertanto, sentire odor di Schopenhauer, di Svetonio o di Numerius Negidius tra le pagine di un contemporaneo. Da che mondo è mondo, per carità, lo studioso ha sempre tratto spunto da un suo pari. Ed è anche un bene, aggiungiamo. Occorrerebbe peraltro attenersi alle seguenti regole: 1) nel caso in cui l’autore si limiti a trarre ispirazione dal testo di X, potrebbe non essere necessario riportare nomi e cognomi; 2) nel caso in cui l’autore copi e ricopi, tagli e ritagli, sarebbe opportuno accompagnare le righe con un “come dice Y” o con un “si legge in A”.
In alternativa, è sufficiente una fotocopiatrice.